venerdì 3 giugno 2016

LA TROMBA E IL JAZZ




L'aspetto creativo è un elemento essenziale nel processo di improvvisazione, non solo perché consente al musicista di poter suonare linee melodiche diverse su una stessa sequenza di accordi, ma soprattutto perché è l'elemento primario per generare "bellezza" e suscitare "emozioni" nell'ascoltatore.


Purtroppo, tuttavia, la creatività non è la sola caratteristica che un musicista jazz deve possedere per creare delle "belle" improvvisazioni. Ad esempio, quando le note devono essere suonate su una sequenza di accordi (prodotta dagli strumenti di accompagnamento, quali piano o chitarra), la conoscenza teorica dell'armonia e delle scale è fondamentale per poter "incastrare" le note sugli accordi del brano. Inoltre, la componente ritmica di un assolo è altrettanto importante, in quanto offre al musicista un'ulteriore dimensione (quella temporale), nella quale spaziare utilizzando pause, accenti, anticipi e ritardi.


La cura del suono (sonorità e timbrica dello strumento) è un altro elemento che un bravo musicista sfrutta per dare personalità alla propria improvvisazione. Infine, l'opera dei grandi musicisti jazz, dagli anni venti a oggi, rappresenta una fonte di ispirazione immensa che non può essere trascurata, in quanto fornisce un riferimento fondamentale per lo studio del fraseggio di ogni musicista jazz.


Una buona tecnica strumentale è essenziale per poter integrare tutti questi elementi ed eseguire un assolo pulito e preciso, ma non dev'essere confusa con la bravura di un musicista. L'abilità di eseguire delle scale velocissime con grande precisione ha poco valore se le note suonate si incastrano male con gli accordi, oppure non sono "condite" con altri elementi, quali pause, accenti e dilatazioni/contrazioni temporali. In altre parole, in un'improvvisazione jazzistica la qualità delle note suonate è molto più importante della quantità o della velocità con cui si eseguono.
Dunque, riassumendo, l'improvvisazione jazzistica prevede almeno sei ingredienti essenziali:

1.    TECNICA STRUMENTALE: è la capacità di eseguire sul proprio strumento delle successioni desiderate di note o accordi con sicurezza e velocità. Essa rappresenta una base necessaria, ma non sufficiente per una buona improvvisazione. Infatti, la scelta delle note e della modalità con cui suonarle è senza dubbio l'aspetto più importante e più difficile da imparare.


2.    CONOSCENZA TEORICA: si riferisce allo studio dell'armonia e delle scale. Una profonda conoscenza degli accordi e delle relazione tra essi è di fondamentale importanza non solo per poter "incastrare" correttamente una sequenza di note sugli accordi di un brano, ma anche per poter generalizzare una melodia su diverse tonalità.


3.    CONOSCENZA PRATICA: si riferisce allo studio di frasi "celebri" suonate da altri musicisti jazz. L'acquisizione di un elevato numero di frasi sui diversi tipi di accordi, o passaggi di accordi, è la fase più importante dello studio di un musicista jazz, in quanto fornisce un prezioso bagaglio di riferimento da cui partire per elaborare il proprio fraseggio.


4.    RITMICA: si riferisce alla componente dinamica e temporale di un assolo, fatta di accenti, pause, anticipi, ritardi, glissati, trilli, legati, ecc. In assenza di tali elementi, una sequenza corretta di note può risultare piatta e insignificante.
5.    SONORITA': si riferisce alla cura di tutti quegli elementi che incidono sul timbro e sulla qualità del suono prodotto. In una chitarra, tali aspetti riguardano il tipo di chitarra (acustica, semi-acustica, solid-body, ecc.), il tipo di corde (materiale, spessore, ruvidità), la regolazione dell'amplificatore, l'uso di particolari effetti, e il "tocco", ossia la modalità utilizzata per produrre le singole note.
6.    CREATIVITA': è l'aspetto più importante, ma più difficile da codificare, e si riferisce alla capacità del musicista di mettere insieme tutti i diversi elementi in modo originale, al fine di generare sequenze di note di volta in volta diverse e tali da suscitare sensazioni piacevoli nell'ascoltatore. Sebbene la creatività sia una qualità intrinseca di ogni persona, essa può essere migliorata attraverso lo studio dell'improvvisazione di altri musicisti jazz che sono riusciti in questo intento.

Nasce a New Orleans il trombettista jazz più  celebre del XX secolo: Louis Armstrong. Nato in una famiglia molto povera e orfano di padre, Sachmo, come verra’ soprannominato per il suo modo di suonare,  si avvicina in tenera età alla  cornetta a pistoni; adolescente, entra nella sua prima ottone-band in Lousiana, fino a quando, si trasferisce a Chicago ed entra a far parte della band di Joe Oliver, più  importante della città del jazz. Il successo arriva nel 1924, a New York. Si esibisce nei più famosi locali dell’epoca, suona e canta con musicisti come Jimmie Rodgers, Bing Crosby, Duke Ellington e soprattutto Ella Fitzgerald, con la quale registra tre album. Tra le canzoni più conosciute di Louis Armstrong: "Stardust”, "What a Wonderful World”, "When The Saints Go Marching In", "Dream a Little Dream of Me”. Muore per un infarto a settant’anni, 11 mesi dopo aver partecipato al famoso show all'Empire Room del Waldorf-Astoria.


Il talento ineguagliabile, lo spirito innovatore, le sonorità languide e melodiche, la personalita' poliedrica e il carattere difficile hanno reso il Principe delle Tenebre una figura chiave del jazz del XX secolo. MilesDavis, a 90 anni esatti dalla sua nascita, resta uno dei musicisti più influenti e rivoluzionari della scena artistica mondiale. Dopo aver contribuito alla rivoluzione bepop fu ideatore di molti stili jazz come il cool jazz, l'hard bop, il modal jazz e il jazz elettrico o jazz-rock.


Nacque ad Alton il 26 maggio 1926 da un'agiata famiglia afro-americana. La madre Cleo Henry, abile pianista, desiderava che il figlio imparasse a suonare il violino, ma fu il padre Miles Davis II, affermato dentista di St. Louis a regalargli una tromba per il suo tredicesimo compleanno. Famoso come strumentista, Davis è considerato uno dei più grandi trombettisti jazz per il suono, un vero e proprio marchio di fabbrica, la forza innovatrice della composizione, ma anche per l'emotività controllata della sua personalità solistica, che in dischi come 'Kind of Blue' trovò forse massima espressione. L'album fu registrato in appena due sessioni ed è considerato il suo capolavoro. Fu dopo 'Birth of the cool', un vero e proprio manifesto che inaugurò l'eta' del jazz modale. 



La musica di Davis influenzò molti trombettisti e da un punto di vista artistico è paragonabile a Buddy Bolden, Joe King Oliver, Bix Beiderbecke, Louis Armstrong e altri ancora. Fu uno dei pochi jazzmen in grado di affermarsi non solo da un punto di vista artistico ma anche a livello commerciale nell'industria musicale. Soprannominato Principe delle Tenebre per la qualità notturna della sua musica, ma anche per il suo carattere scontroso che insieme alla sua voce roca e raschiante contribuirono a creare l'immagine 'dark'. Davis contribuì allo sviluppo artistico di generazioni di musicisti, dotato di un istinto fuori dal comune non esitò mai a reinventare il suono e la musica per cui era conosciuto, nemmeno dopo il successo del rock, quando passò ad una sonorità elettrica.






 Ma a differenza di molti suoi colleghi fu sempre molto attento all'immagine, aggiornata nel corso del tempo fino ad arrivare all'ultimo periodo in cui il vestiario pieno di colore firmato Versace conferì un certa sacralità alle sue esibizioni.


LA TROMBA A CHIAVI





IL processo evolutivo in questi recenti anni trova la sua conclusione con il brevetto della tromba munita di pistoni che aprono e chiudono delle pompe aggiuntive: in questo modo, si concretizzarono tutti i tentativi di dotare con la gamma cromatica uno strumento diatonico, per giunta limitato in estensione. Il ritrovato di Bluhmel e Stölzel si rivelò così geniale da dare il via a tutta una serie di famiglie di nuovi strumenti: molti di essi ebbero vita breve, e rimangono sui libri di storia e nelle leggende metropolitane dei musicisti, molti altri sopravvissero e si diffusero, trovando utilizzi che perdurano tutt’oggi.




E’ ovvio che una soluzione del genere, decisamente compromissoria, aveva un prezzo da pagare, in termini di “bontà acustica”: la perdita del suono puro ed originario della tromba naturale a causa delle curvature del tubo principale e delle porzioni di tubo  aggiuntive: fattore, questo, imputabile ad un fenomeno di fluido – dinamica per il quale più il percorso di un fluido all’interno è tortuoso, più elevate saranno le turbolenze, con ripercussioni piuttosto negative a livello acustico, ma soprattutto tecnico – esecutivo.


Inoltre, una maggiore compressione dello strumento dotato di macchina obbligava ad usare bocchini con misure di molto inferiori rispetto a quelli usati negli strumenti senza pistoni.
Nella seconda metà del XVIII secolo, come accennato in precedenza, la tromba naturale conosce un periodo di declino. Solamente l’invenzione della tromba a chiavi rende possibile l’esecuzione di una scala cromatica intera da parte di un suonatore di tromba.


Il trombettista (anche se sarebbe più corretto dire trombista) della corte di Vienna, Anton Weidinger (Vienna, 9 giugno 1767 – 20 settembre 1852), entra a far parte del Corpo Imperiale dei Trombettisti di Corte nel 1799; proprio in quel periodo, progetta – e successivamente, brevetta – una tromba dotata di chiavi, che aprono e chiudono fori (in numero variabile da 3 a 5) praticati ad arte lungo il tubo dello strumento stesso. 


La sua invenzione, probabilmente, va oltre le sue stesse aspettative, in quanto il suo progetto originario prevede la costruzione di uno strumento in grado di suonare cromaticamente, basandosi sui primi esempi di trombe, o meglio, di corni a chiavi. Il 28 marzo del 1800, il Concerto scritto da Franz Joseph Haydn viene eseguito per la prima volta nel Teatro di Corte di Vienna: il musicista lo aveva scritto quattro anni prima proprio per Weidinger, come atto di amicizia nei suoi confronti ma anche (e, forse, soprattutto…) come forma di interesse per l’innovazione strumentale. Fino a quel momento, la scrittura trombettistica di Haydn aveva mostrato caratteri di supporto armonico o, talvolta, sottolineatura di un particolare effetto o “emozione”: quasi mai qualcosa di superiore o diverso.




Con questa decisa presa di posizione a favore del nuovo
potenziale fornito dallo strumento che lo stesso Weidinger chiama “organisierte Trompete” (“tromba organizzata”), si realizza qualcosa di totalmente innovativo, nel quale il materiale sonoro è fatto di passaggi cromatici e melodie diatoniche, al posto delle tradizionali triadi spezzate e motivetti “da fanfara”.


L’opera di “proselitismo” di Weidinger non si ferma qui, però, tant’è vero che, intorno al 1803, si rivolge anche a Johann Nepomuk Hummel: quest’ultimo cede alle sue
lusinghe, e gli scrive un brano per tromba a chiavi che riceve un’accoglienza molto positiva durante un concerto della
tournèe che il trombettista stava effettuando, in quel tempo. Il risultato è la composizione del “Concerto a Tromba Principale”, quello di cui
si parla in questo lavoro monografico: la prima esecuzione pubblica è datata 1° gennaio 1804, presso la corte degli Esterhàzy. Molti storici sono concordi nel sostenere che, con
tutta probabilità, lo stesso Weidinger, prima della prima esecuzione, elabora la parte 20 solistica, più che altro per adattare la scrittura allo strumento e rendere eseguibile il brano.





La tromba a chiavi sparisce dalla scena musicale intorno agli anni ’40 dell’Ottocento: al suo posto, per i motivi già trattati nel capitolo precedente, trova una grande diffusione la tromba a pistoni; solo alcune opere teatrali di Rossini e Meyerbeer prevedono in organico lo strumento a chiavi, in funzione delle qualità acustiche più funzionali allo scopo. L’ultima composizione degna di essere qui citata, scritta appositamente per il vecchio esemplare è, senza ombra di dubbio, il “Concertone per
Flauto, Clarinetto, Tromba a Chiavi, Corno e Orchestra” di Michele Puccini (1838).


LA RINASCITA
Grazie al lavoro di alcuni artigiani, che hanno studiato gli strumenti antichi conservati nei musei e, di conseguenza, iniziano a produrne delle copie, è oggi possibile, ai musicisti, cominciare a studiare e riscoprire la tecnica esecutiva delle trombe a chiavi. Questo rinnovato interesse perla filologia strumentale rende nuovamente udibile, ed in maniera molto fedele rispetto all’originale, la musica di compositori come Giovanni Gabrieli (per quanto riguarda il cornetto), Johann Sebastian Bach (nell’ambito della tromba naturale e barocca) e, ovviamente, Haydn e Hummel.

lunedì 30 maggio 2016

LA TROMBA DI HUMMEL



Johann Nepomuk Hummel nacque a Pressburg (l’attuale Bratislava) nel 1778, figlio del direttore d’orchestra Johannes. Fanciullo prodigio, all’età di otto anni divenne allievo di Mozart, del quale divenne un fraterno amico. Ben presto, il suo nome divenne celebre in tutta Europa grazie al prodigioso virtuosismo pianistico che gli permise di effettuare una lunga tournée, durata quattro anni, in Germania, Danimarca, Scozia e Inghilterra. Tornato in patria, sebbene fosse già considerato uno dei migliori musicisti dell’epoca, decise di tornare a studiare con Albrechtsberger, Salieri e Haydn. A Vienna, nel giro di poco tempo, entrò a far parte della ristretta cerchia degli amici intimi di Beethoven, al punto che nel 1827, ai funerali del sommo genio di Bonn, Hummel fu uno di coloro che portarono la bara (nella raffigurazione, un momento dei solenni funerali di Beethoven).
Johann Nepomuk Hummel  è sicuramente quello che, grazie agli studi e agli influssi avuti nel tempo, rappresenta il punto emblematico per eccellenza di collegamento tra la tradizione mozartiana e quella, decisamente innovativa, beethoveniana.



La sua carriera artistica inizia con una forte influenza stilistica di Mozart. Gli
storici sono concordi nel dividere tra Kummel e Ignaz Moscheles la discendenza diretta
del panismo mozartiano, così come sono concordi nel definire la scrittura hummeliana
per pianoforte un “anello di congiunzione” tra il Grande Viennese e Chopin da una parte
e Liszt dall’altra, specialmente per quello che riguarda l’uso degli abbellimenti.
I critici a lui contemporanei gli attribuirono una musicalità piena di “grazia,
purezza e raffinatezza classica” (1823); oggi, col senno di poi, si può notare qualche
pecca a livello di profondità dei contenuti, con un ricorso talvolta eccessivo agli
abbellimenti proprio per nascondere questa superficialità.
Uno dei massimi capolavori di Hummel è senza alcun dubbio il concerto in Mib per tromba e orchestra.








Il Concerto per Tromba ed Orchestra in Mi bemolle Maggiore di Franz Joseph
Haydn è stato scritto nel 1796, quello in Mi Maggiore di Johann Nepomuk Hummel 6
anni più tardi. Franz Joseph Haydn e Johann Nepomuk Hummel, come si può evincere dai
paragrafi precedenti, scrissero i loro concerti in un’epoca in cui grande era il fermento
artistico e tecnico intorno agli strumenti d’ottone. I due musicisti recepirono i gusti del pubblico e le esigenze degli esecutori, lasciando ai posteri due composizioni molto pregevoli sotto il profilo dei contenuti
stilistici.






Lo schema formale della composizione si rifà, in linea generale, a quello del
concerto classico per strumento solista ed orchestra: un Primo Movimento, Allegro con
spirito, con cadenza finale, nella tonalità d’impianto (Mi maggiore); un Secondo
Movimento, Andante, alla sottodominante con cambio di modo (La minore); infine, il
Terzo Movimento, in forma di Rondò, Allegro, nuovamente in Mi Maggiore. Le novità di questa composizione possono essere trovate nei contenuti, più che nella forma .
PRIMO MOVIMENTO – ALLEGRO CON SPIRITO
Uno sguardo d’insieme lascia intendere che il Movimento ricalca la struttura
bitematica e tripartita tipica degli Allegro di Sonata, sperimentata con successo da
Beethoven nelle composizioni per piano solo: questo dimostra l’influenza stilistica che
quest’ultimo esercitò su Hummel, come anticipato nel capitolo dedicato alla sua
biografia, e anche la datazione del Concerto per Tromba ed Orchestra (1803) ne è prova.







Il concerto si apre con un’introduzione orchestrale piuttosto lunga, nella quale
vengono anticipati gli spunti tematici principali del solista, intercalati da figurazioni
ritmiche e melodiche che si riveleranno essere proprie dell’accompagnamento
orchestrale: in totale 65 misure (nella riduzione per pianoforte, c’è l’indicazione di un
taglio opzionale da misura 29 a misura 59 comprese). Ovviamente, questo episodio
introduttivo inizia nella tonalità d’impianto, ma già dopo 21 battute si modula alla
dominante: la conferma del nuovo centro tonale, sebbene passeggero, dura 9 battute,
dopodichè un breve spunto omoritmico a crome col punto e semicrome (misure 31 – 34),
di sapore vagamente orientale con il sesto grado abbassato, prepara ad un pedale di Si
maggiore il quale va ad SECONDO MOVIMENTO - ANDANTE
La prima cosa che spicca, nell’edizione consultata, è l’indicazione ritmica: il
tempo è “a cappella”, con accordi battenti a terzine per quasi tutto il movimento (da
misura 1 a 52, su un totale di 71), e le parti gravi a sottolineare l’armonia ad accordi
spezzati (nella versione orchestrale, questa linea è eseguita da violoncelli e contrabbassi).
Le prime tre misure servono da introduzione al tema solistico: l’unisono di misura 1
lascia brevemente nel dubbio “maggiore/minore”, toccando i gradi primo, quarto e quinto
i quali, per definizione, sono costanti nei due modi: la conferma del La minore
d’impianto arriva con le misure 2 e 3.





L’esordio del solista lascia intendere la maggiore espressività del Secondo
Movimento rispetto al primo, nonché una chiara volontà di esaltare la conquista di un
cromatismo strumentale impraticabile con gli antenati della tromba a chiavi: un esempio
è il trillo Mi – Fa, lungo ben due battute (4 e 5, su armonie di dominante e diminuita). Ma
non solo: tutti gli abbellimenti disseminati qua e là, e le note toccate durante tutto il
movimento; non va infatti dimenticato, a costo di essere ripetitivi, che il solista qui suona
alla sottodominante minore di Mi maggiore… Questo primo episodio si esaurisce a
battuta 12, con la modulazione a Do maggiore: qui inizia il tema vero e proprio, in cui si
può osservare che, a fronte di un accompagnamento pressoché statico dal punto di vista
ritmico, il disegno melodico del solista si fa più fitto. I valori larghi delle prime misure
lasciano infatti il posto alle terzine di crome, per poi giungere al culmine con la scala
cromatica e successivo trillo di misura 27.esaurirsi con la corona di misura 42.

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TERZO MOVIMENTO – RONDÒ (ALLEGRO)
A titolo di anticipazione di carattere generale, l’attribuzione del nome “Rondò”
appare abbastanza discutibile, per un motivo molto semplice: si può notare una effettiva
struttura A – B – A – C fino a battuta 167, ma questa stessa struttura non trova una
oggettiva conclusione nella parte finale: infatti, considerare tutto il discorso delle battute
da 167 alla fine come una A’ può sembrare una costrizione eccessiva, data la complessità
non tanto del commento orchestrale quanto della parte solistica, che in quelle battute
conosce il culmine del virtuosismo. Ciononostante, è questa una semplificazione
accettabile, dati i fini accademici della presente trattazione e tenendo presente che si
tratta del Terzo ed conclusivo Movimento di un concerto per solista ed orchestra.
Ma analizziamo ora ognuna delle sezioni qui individuabili.







Il tema principale della A (misure 1 – 20) è tipicamente trombettistico, con quel
suo inizio quasi da fanfara ed uno sviluppo melodico scoppiettante fatto di articolazioni
staccate semplici e doppie; in questo frangente, l’orchestra si mantiene piuttosto dimessa,
accompagnando con armonie semplici (tonica, dominante, al massimo un secondo grado
– Fa# minore – alle misure 7 e 8) e con figure ritmiche ricalcanti la melodia della tromba,
eccezion fatta per il pedale di dominante delle misure da 9 a 12, decisamente di più
ampio respiro. La sezione A prosegue e si conclude con la risposta dell’orchestra (misure
20 – 31), di carattere non meno baldanzoso del precedente episodio: anche in questo caso
l’armonia è molto semplice, ridotta com’è ad un pedale di tonica degli strumenti di
registro grave a supporto del disegno sincopato delle parti acute.







Le misure da 32 a 58 vedono l’esposizione della parte B, caratterizzata dalla
modulazione a Si maggiore: la melodia solistica si fa decisamente più diatonica – anzi, verso la fine, sconfina nel cromatismo, in direzione ascendente – senza però perdere la
vena quasi battagliera della sezione precedente; allo stesso tempo, l’accompagnamento
orchestrale assume una fisionomia più sussurrata (non si arriva mai ad un vero “forte”),
poco invadente e quasi ballabile.  Il finale è una riproposizione, a mo’ di Stretto conclusivo, di spunti tematici già  ascoltati in precedenza.


LA TROMBA NEL BAROCCO



L'età barocca è senza dubbio il periodo storico che maggiormente ha contribuito allo splendore della tromba.
La tromba utilizzata nel periodo barocco era di forma piuttosto allungata, con una campana piuttosto piccola all'estremità, ed era definita "naturale". Priva di meccanismi, la lunghezza del tubo costituiva la tonalità dello strumento. Una volta scelta la tonalità (le più diffuse erano in Do e in Re, ma ne esistevano anche in Mib, Fa ecc.) la tromba poteva produrre solo i suoni armonici della fondamentale.
E' in questo periodo infatti che lo strumento viene inserito per la prima volta in orchestra e contestualmente i compositori cominciano a scrivere pagine che diventeranno capolavori di bellezza e complicazione con i quali i solisti odierni ancora si misurano.
Questo strumento in buona parte dimenticato ci sta rivelando i suoi segreti grazie a ricerche che ne riguardano la storia e la fisica e che consentono agli esecutori moderni di suonarlo come i musicisti dei secoli XVII e XVIII . 


Le trombe barocche utilizzate hanno la caratteristica di non avere, come le trombe moderne, alcun meccanismo o pistone che permetta di variare la lunghezza della canna.
Le diverse note vengono perciò suonate soltanto variando la pressione dell’aria immessa e la posizione del labbro dell’esecutore. Questo permette di ottenere un timbro più dolce e pastoso rispetto alla piccola tromba moderna con pistoni che viene spesso usata per eseguire composizioni del ‘600 e del ‘700.







Limitata com'era alla produzione dei 1-4 suoni naturali (gli armonici), la tromba barocca doveva avere lunghezza e disegno adatti e fu necessario mettere a punto tecniche esecutive speciali per poter emettere, fra quelli disponibili, armonici in numero sufficiente per generare una scala musicale. Uno strumento del genere doveva essere lungo poco più di due metri. (Un tubo più corto avrebbe consentito di emettere un minor numero di armonici.) Il tubo di oltre due metri produce come nota fondamentale, ossia come nota più profonda, un do I (posto a distanza di due ottave al grave rispetto al do centrale del pianoforte). Di conseguenza la tromba era in grado di produrre una serie discreta di armonici al di sopra della fondamentale, che viene anche chiamata prima parziale. 

poiché le labbra sono costituite da tesi- suti viventi e sono l'unica sorgente di suono per gli ottoni, vi sono forti correlazioni fra il suonare la tromba barocca e il cantare. Le labbra del trombettista funzionano come la laringe del cantante, con il risultato che il suonare nel registro dei clarini presenta molte analogie con le tecniche usate da un soprano di coloratura. In effetti, molti testi sulla tecnica degli ottoni sostengono che lo studente deve anche studiare canto.










 Il consiglio che un autore del Settecento dà al suonatore di clarino è quello di pensare sempre in termini di canto, quando suona, e di imitare il più possibile un bella  voce Come musicisti che suonano il corno, il trombone o la tromba, vi sono forti correlazioni fra le vocali a e i, nel canto, e la produzione di note dal registro inferiore (a) a quello superiore (i) di un ottone. La tromba barocca sembra particolarmente suscettibile a piccole variazioni nelle risonanze , per la lunghezza del canneggio dello strumento (circa due metri) o per una combinazione di numerosi fattori acustici, compresi quelli attinenti al bocchino.

I primi studi si sono concentrati sulle caratteristiche acustiche della tromba barocca. Una scarsa attenzione è stata però prestata all'integrazione fra strumento, bocchino ed esecutore. Per capire i misteri della tecnica esecutiva sulla tromba barocca è necessario esaminare le interazioni dinamiche fra tutte e tre queste componenti, tanto più che oggi sappiamo che l'esecutore ha un'influenza enorme sulla produzione del suono da parte di uno strumento, tanto da modificarne notevolmente il prodotto acustico. Anche variabili dell'esecutore come labbra, denti, lingua, cavità orale e gola influenzano direttamente il suono, indipendentemente dalle peculiari caratteristiche fisiche dello strumento stesso.




A differenza di ogni altro tipo di strumento musicale, gli ottoni non possiedono oscillatori propri: il suono è prodotto completamente dalle vibrazioni delle labbra dell'esecutore, che a loro volta modulano l'aria contenuta nell'intero sistema. Per questo con gli ottoni l'esecutore può avere una grande influenza su parametri come il timbro e la frequenza .
E' grazie a Claudio Monteverdi che nel 1607, a Mantova, la tromba entra a far parte dell'organico orchestrale nell'introduzione all'opera Orfeo

Il programma proposto riprende brani che i maggiori autori italiani, francesi e tedeschi che nel XVII secolo hanno scritto appositamente per tromba sola o accompagnata da percussioni, cembalo e archi nel basso continuo escludendo trascrizioni per tromba i molti compositori che tra il 1600 e il 1700 dedicarono pagine importanti alla tromba vi fu anche Giuseppe Torelli.
Compositore molto prolifico, soprattutto nei confronti della tromba, Torelli prestò servizio per molti anni come compositore per la Basilica di San Petronio a Bologna per tromba e orchestra.