venerdì 3 giugno 2016

LA TROMBA A CHIAVI





IL processo evolutivo in questi recenti anni trova la sua conclusione con il brevetto della tromba munita di pistoni che aprono e chiudono delle pompe aggiuntive: in questo modo, si concretizzarono tutti i tentativi di dotare con la gamma cromatica uno strumento diatonico, per giunta limitato in estensione. Il ritrovato di Bluhmel e Stölzel si rivelò così geniale da dare il via a tutta una serie di famiglie di nuovi strumenti: molti di essi ebbero vita breve, e rimangono sui libri di storia e nelle leggende metropolitane dei musicisti, molti altri sopravvissero e si diffusero, trovando utilizzi che perdurano tutt’oggi.




E’ ovvio che una soluzione del genere, decisamente compromissoria, aveva un prezzo da pagare, in termini di “bontà acustica”: la perdita del suono puro ed originario della tromba naturale a causa delle curvature del tubo principale e delle porzioni di tubo  aggiuntive: fattore, questo, imputabile ad un fenomeno di fluido – dinamica per il quale più il percorso di un fluido all’interno è tortuoso, più elevate saranno le turbolenze, con ripercussioni piuttosto negative a livello acustico, ma soprattutto tecnico – esecutivo.


Inoltre, una maggiore compressione dello strumento dotato di macchina obbligava ad usare bocchini con misure di molto inferiori rispetto a quelli usati negli strumenti senza pistoni.
Nella seconda metà del XVIII secolo, come accennato in precedenza, la tromba naturale conosce un periodo di declino. Solamente l’invenzione della tromba a chiavi rende possibile l’esecuzione di una scala cromatica intera da parte di un suonatore di tromba.


Il trombettista (anche se sarebbe più corretto dire trombista) della corte di Vienna, Anton Weidinger (Vienna, 9 giugno 1767 – 20 settembre 1852), entra a far parte del Corpo Imperiale dei Trombettisti di Corte nel 1799; proprio in quel periodo, progetta – e successivamente, brevetta – una tromba dotata di chiavi, che aprono e chiudono fori (in numero variabile da 3 a 5) praticati ad arte lungo il tubo dello strumento stesso. 


La sua invenzione, probabilmente, va oltre le sue stesse aspettative, in quanto il suo progetto originario prevede la costruzione di uno strumento in grado di suonare cromaticamente, basandosi sui primi esempi di trombe, o meglio, di corni a chiavi. Il 28 marzo del 1800, il Concerto scritto da Franz Joseph Haydn viene eseguito per la prima volta nel Teatro di Corte di Vienna: il musicista lo aveva scritto quattro anni prima proprio per Weidinger, come atto di amicizia nei suoi confronti ma anche (e, forse, soprattutto…) come forma di interesse per l’innovazione strumentale. Fino a quel momento, la scrittura trombettistica di Haydn aveva mostrato caratteri di supporto armonico o, talvolta, sottolineatura di un particolare effetto o “emozione”: quasi mai qualcosa di superiore o diverso.




Con questa decisa presa di posizione a favore del nuovo
potenziale fornito dallo strumento che lo stesso Weidinger chiama “organisierte Trompete” (“tromba organizzata”), si realizza qualcosa di totalmente innovativo, nel quale il materiale sonoro è fatto di passaggi cromatici e melodie diatoniche, al posto delle tradizionali triadi spezzate e motivetti “da fanfara”.


L’opera di “proselitismo” di Weidinger non si ferma qui, però, tant’è vero che, intorno al 1803, si rivolge anche a Johann Nepomuk Hummel: quest’ultimo cede alle sue
lusinghe, e gli scrive un brano per tromba a chiavi che riceve un’accoglienza molto positiva durante un concerto della
tournèe che il trombettista stava effettuando, in quel tempo. Il risultato è la composizione del “Concerto a Tromba Principale”, quello di cui
si parla in questo lavoro monografico: la prima esecuzione pubblica è datata 1° gennaio 1804, presso la corte degli Esterhàzy. Molti storici sono concordi nel sostenere che, con
tutta probabilità, lo stesso Weidinger, prima della prima esecuzione, elabora la parte 20 solistica, più che altro per adattare la scrittura allo strumento e rendere eseguibile il brano.





La tromba a chiavi sparisce dalla scena musicale intorno agli anni ’40 dell’Ottocento: al suo posto, per i motivi già trattati nel capitolo precedente, trova una grande diffusione la tromba a pistoni; solo alcune opere teatrali di Rossini e Meyerbeer prevedono in organico lo strumento a chiavi, in funzione delle qualità acustiche più funzionali allo scopo. L’ultima composizione degna di essere qui citata, scritta appositamente per il vecchio esemplare è, senza ombra di dubbio, il “Concertone per
Flauto, Clarinetto, Tromba a Chiavi, Corno e Orchestra” di Michele Puccini (1838).


LA RINASCITA
Grazie al lavoro di alcuni artigiani, che hanno studiato gli strumenti antichi conservati nei musei e, di conseguenza, iniziano a produrne delle copie, è oggi possibile, ai musicisti, cominciare a studiare e riscoprire la tecnica esecutiva delle trombe a chiavi. Questo rinnovato interesse perla filologia strumentale rende nuovamente udibile, ed in maniera molto fedele rispetto all’originale, la musica di compositori come Giovanni Gabrieli (per quanto riguarda il cornetto), Johann Sebastian Bach (nell’ambito della tromba naturale e barocca) e, ovviamente, Haydn e Hummel.

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