lunedì 30 maggio 2016

LA TROMBA DI HUMMEL



Johann Nepomuk Hummel nacque a Pressburg (l’attuale Bratislava) nel 1778, figlio del direttore d’orchestra Johannes. Fanciullo prodigio, all’età di otto anni divenne allievo di Mozart, del quale divenne un fraterno amico. Ben presto, il suo nome divenne celebre in tutta Europa grazie al prodigioso virtuosismo pianistico che gli permise di effettuare una lunga tournée, durata quattro anni, in Germania, Danimarca, Scozia e Inghilterra. Tornato in patria, sebbene fosse già considerato uno dei migliori musicisti dell’epoca, decise di tornare a studiare con Albrechtsberger, Salieri e Haydn. A Vienna, nel giro di poco tempo, entrò a far parte della ristretta cerchia degli amici intimi di Beethoven, al punto che nel 1827, ai funerali del sommo genio di Bonn, Hummel fu uno di coloro che portarono la bara (nella raffigurazione, un momento dei solenni funerali di Beethoven).
Johann Nepomuk Hummel  è sicuramente quello che, grazie agli studi e agli influssi avuti nel tempo, rappresenta il punto emblematico per eccellenza di collegamento tra la tradizione mozartiana e quella, decisamente innovativa, beethoveniana.



La sua carriera artistica inizia con una forte influenza stilistica di Mozart. Gli
storici sono concordi nel dividere tra Kummel e Ignaz Moscheles la discendenza diretta
del panismo mozartiano, così come sono concordi nel definire la scrittura hummeliana
per pianoforte un “anello di congiunzione” tra il Grande Viennese e Chopin da una parte
e Liszt dall’altra, specialmente per quello che riguarda l’uso degli abbellimenti.
I critici a lui contemporanei gli attribuirono una musicalità piena di “grazia,
purezza e raffinatezza classica” (1823); oggi, col senno di poi, si può notare qualche
pecca a livello di profondità dei contenuti, con un ricorso talvolta eccessivo agli
abbellimenti proprio per nascondere questa superficialità.
Uno dei massimi capolavori di Hummel è senza alcun dubbio il concerto in Mib per tromba e orchestra.








Il Concerto per Tromba ed Orchestra in Mi bemolle Maggiore di Franz Joseph
Haydn è stato scritto nel 1796, quello in Mi Maggiore di Johann Nepomuk Hummel 6
anni più tardi. Franz Joseph Haydn e Johann Nepomuk Hummel, come si può evincere dai
paragrafi precedenti, scrissero i loro concerti in un’epoca in cui grande era il fermento
artistico e tecnico intorno agli strumenti d’ottone. I due musicisti recepirono i gusti del pubblico e le esigenze degli esecutori, lasciando ai posteri due composizioni molto pregevoli sotto il profilo dei contenuti
stilistici.






Lo schema formale della composizione si rifà, in linea generale, a quello del
concerto classico per strumento solista ed orchestra: un Primo Movimento, Allegro con
spirito, con cadenza finale, nella tonalità d’impianto (Mi maggiore); un Secondo
Movimento, Andante, alla sottodominante con cambio di modo (La minore); infine, il
Terzo Movimento, in forma di Rondò, Allegro, nuovamente in Mi Maggiore. Le novità di questa composizione possono essere trovate nei contenuti, più che nella forma .
PRIMO MOVIMENTO – ALLEGRO CON SPIRITO
Uno sguardo d’insieme lascia intendere che il Movimento ricalca la struttura
bitematica e tripartita tipica degli Allegro di Sonata, sperimentata con successo da
Beethoven nelle composizioni per piano solo: questo dimostra l’influenza stilistica che
quest’ultimo esercitò su Hummel, come anticipato nel capitolo dedicato alla sua
biografia, e anche la datazione del Concerto per Tromba ed Orchestra (1803) ne è prova.







Il concerto si apre con un’introduzione orchestrale piuttosto lunga, nella quale
vengono anticipati gli spunti tematici principali del solista, intercalati da figurazioni
ritmiche e melodiche che si riveleranno essere proprie dell’accompagnamento
orchestrale: in totale 65 misure (nella riduzione per pianoforte, c’è l’indicazione di un
taglio opzionale da misura 29 a misura 59 comprese). Ovviamente, questo episodio
introduttivo inizia nella tonalità d’impianto, ma già dopo 21 battute si modula alla
dominante: la conferma del nuovo centro tonale, sebbene passeggero, dura 9 battute,
dopodichè un breve spunto omoritmico a crome col punto e semicrome (misure 31 – 34),
di sapore vagamente orientale con il sesto grado abbassato, prepara ad un pedale di Si
maggiore il quale va ad SECONDO MOVIMENTO - ANDANTE
La prima cosa che spicca, nell’edizione consultata, è l’indicazione ritmica: il
tempo è “a cappella”, con accordi battenti a terzine per quasi tutto il movimento (da
misura 1 a 52, su un totale di 71), e le parti gravi a sottolineare l’armonia ad accordi
spezzati (nella versione orchestrale, questa linea è eseguita da violoncelli e contrabbassi).
Le prime tre misure servono da introduzione al tema solistico: l’unisono di misura 1
lascia brevemente nel dubbio “maggiore/minore”, toccando i gradi primo, quarto e quinto
i quali, per definizione, sono costanti nei due modi: la conferma del La minore
d’impianto arriva con le misure 2 e 3.





L’esordio del solista lascia intendere la maggiore espressività del Secondo
Movimento rispetto al primo, nonché una chiara volontà di esaltare la conquista di un
cromatismo strumentale impraticabile con gli antenati della tromba a chiavi: un esempio
è il trillo Mi – Fa, lungo ben due battute (4 e 5, su armonie di dominante e diminuita). Ma
non solo: tutti gli abbellimenti disseminati qua e là, e le note toccate durante tutto il
movimento; non va infatti dimenticato, a costo di essere ripetitivi, che il solista qui suona
alla sottodominante minore di Mi maggiore… Questo primo episodio si esaurisce a
battuta 12, con la modulazione a Do maggiore: qui inizia il tema vero e proprio, in cui si
può osservare che, a fronte di un accompagnamento pressoché statico dal punto di vista
ritmico, il disegno melodico del solista si fa più fitto. I valori larghi delle prime misure
lasciano infatti il posto alle terzine di crome, per poi giungere al culmine con la scala
cromatica e successivo trillo di misura 27.esaurirsi con la corona di misura 42.

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TERZO MOVIMENTO – RONDÒ (ALLEGRO)
A titolo di anticipazione di carattere generale, l’attribuzione del nome “Rondò”
appare abbastanza discutibile, per un motivo molto semplice: si può notare una effettiva
struttura A – B – A – C fino a battuta 167, ma questa stessa struttura non trova una
oggettiva conclusione nella parte finale: infatti, considerare tutto il discorso delle battute
da 167 alla fine come una A’ può sembrare una costrizione eccessiva, data la complessità
non tanto del commento orchestrale quanto della parte solistica, che in quelle battute
conosce il culmine del virtuosismo. Ciononostante, è questa una semplificazione
accettabile, dati i fini accademici della presente trattazione e tenendo presente che si
tratta del Terzo ed conclusivo Movimento di un concerto per solista ed orchestra.
Ma analizziamo ora ognuna delle sezioni qui individuabili.







Il tema principale della A (misure 1 – 20) è tipicamente trombettistico, con quel
suo inizio quasi da fanfara ed uno sviluppo melodico scoppiettante fatto di articolazioni
staccate semplici e doppie; in questo frangente, l’orchestra si mantiene piuttosto dimessa,
accompagnando con armonie semplici (tonica, dominante, al massimo un secondo grado
– Fa# minore – alle misure 7 e 8) e con figure ritmiche ricalcanti la melodia della tromba,
eccezion fatta per il pedale di dominante delle misure da 9 a 12, decisamente di più
ampio respiro. La sezione A prosegue e si conclude con la risposta dell’orchestra (misure
20 – 31), di carattere non meno baldanzoso del precedente episodio: anche in questo caso
l’armonia è molto semplice, ridotta com’è ad un pedale di tonica degli strumenti di
registro grave a supporto del disegno sincopato delle parti acute.







Le misure da 32 a 58 vedono l’esposizione della parte B, caratterizzata dalla
modulazione a Si maggiore: la melodia solistica si fa decisamente più diatonica – anzi, verso la fine, sconfina nel cromatismo, in direzione ascendente – senza però perdere la
vena quasi battagliera della sezione precedente; allo stesso tempo, l’accompagnamento
orchestrale assume una fisionomia più sussurrata (non si arriva mai ad un vero “forte”),
poco invadente e quasi ballabile.  Il finale è una riproposizione, a mo’ di Stretto conclusivo, di spunti tematici già  ascoltati in precedenza.


1 commento:

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